SAPERE DI VINO

Dalla Cantina alle Nostre Tavole

Formati di Bottiglie e Barrique

Formati delle bottiglie

Vari sono i formati di bottiglie cui il vino viene proposto al consumatore. Il vino conservato in una Magnum trova sicuramente la sua collocazione più congeniale. In queste bottiglie infatti è minore la superficie del vino, prezioso liquido, esposta agli agenti ossidanti quali soprattutto luce e temperatura.

Il vino allora mantiene in una magnum le sue caratteristiche più a lungo. Purtroppo la Magnum e peggio ancora formati più grandi ingombrano parecchio e sono poco agevoli per la grande distribuzione. E qui molto potrebbero dire quei Sommelier che hanno avuto il piacere di servire il vino da una bottiglia formato Magnum.

Se pur sembra essere la soluzione meno benevola per il vino, sembra che il formato 375ml stia riscuotendo un graduale ma significativo consenso. L’esigua quantità del formato 375ml abbassa sicuramente il prezzo di un buon bicchiere di vino, nè tantomeno pone il problema del conservare quello in esubero dal pasto o dalla consumazione in generale. Quanti di noi entusiasti di aprire una buona bottiglia durante un pasto sono frenati dal fatto che tutto il vino avanzato dal pasto stesso non sarà conservato in modo adeguato e comunque, inevitabilmente perderà le sue caratteristiche nell’attesa verso il prossimo pasto o al giorno dopo. E questa sarà la sfida più grande, avvicinare il vino alla gente con altri formati e forme sempre più performanti ed efficienti. L’ergonomizzazione del formato potrà allora aprire nuovi mercati e nuove occasioni di consumo e forse offrire nuovi motivi per ampliare il mercato.

Naturalmente questo è un discorso che calza a pennello per i vini di pronta beva destinati ad essere consumati nel breve periodo. Diverso e ancora classico sarà l’approccio a quei vini importanti, come solo l’Italia sa fare, destinati all’invecchiamento.

La Barrique

I primi contenitori utilizzati per la vinificazione erano essenzialmente orci di terracotta interrati. E’ questo ciò che emerge dagli scavi archeologici delle zone montuose del Caucaso, la vera valle della viticoltura mondiale. In queste zone, come in Georgia, ancora oggi il vino viene prodotto in questo modo, ed un famoso produttore delle Venezie (Josko Gravner) ha prodotto un’intera gamma di vini con queste antiche metodologie, invitando nella sua cantina viticoltori georgiani. Erodoto, il famoso storico greco, probabilmente si riferisce a quell’antico vino quando parla del commercio intrattenuto tra i mercanti di vino babilonesi e le regioni dell’Armenia (Herod., I, 194). Orci interrati sono visibili tutt’ora presso i ruderi dei palazzi minoici a Creta, fra i quali il palazzo di Minosse è forse quello più noto. Una metodologia produttiva che accomunava molte civiltà mediterranee, dagli Egiziani ai Greci. Per molto tempo però il contenitore classico del vino è stata l’anfora. Le varie tipologie e forme che questo contenitore ha assunto nell’antichità permette agli studiosi di oggi di capire quali erano le rotte commerciali, quali i vini più venduti e pregiati.

Un predominio che il contenitore in argilla godette fino al terzo secolo d.C. circa, quando venne sostituito dalla botte di legno. Un evento questo che riflette le trasformazioni sociali ed economiche dell’impero romano, e dell’Italia in particolare, trasformatasi da esportatrice di vino, ad importatrice. Sono infatti le popolazioni celtiche a detenere, per tradizione, l’arte della costruzione delle botti di legno, e sono quindi le province nordeuropee a diventare rifornitrici di vino dell’Italia romana tardoimperiale.

La botte di legno quindi diventa il contenitore tradizionale per la viticoltura francese, e i vini prodotti oltralpe sono naturalmente predisposti all’invecchiamento in questi contenitori di legno. Per barrique in particolare però si intende una botte piuttosto piccola, che nel Bordolese ha una capacità di 225 litri. Il corrispondente della tradizione italiana è il carato, dove però venivano affinati i vini passiti e liquorosi (in particolare i vini santi) e gli aceti (soprattutto l’aceto balsamico della tradizione modenese). La barrique è comunque da tener distinta dal tonneau, ennesima botte di legno, ma dalla capacità differente: in Borgogna designa un contenitore di 228 litri, nel bordolese invece uno di 900 litri, pari quindi a 4 barrique bordolesi da 225 litri ciascuna. Quando si parla di tonneau nella vitivinicoltura italiana ci si riferisce sempre a quest’ultima accezione. Ancora oggi però la maggior parte delle barrique è prodotta in Francia, e questo sia perché questo paese ospita la qualità di legname più adatta alla costruzione, che per la sedimentata tradizione dei maestri bottai francesi.

Una barrique, infatti, viene prodotta senza segare il legno, che invece è solo spaccato per farne doghe adatte alla costruzione. Inoltre la tostatura del legno, precedente l’assemblaggio definitivo, è di fondamentale importanza per il futuro vino contenuto. Una tostatura leggera (5 minuti), una media (10 minuti) o una forte (15-20), con temperature che variano dai 150 °C ai 200 °C caratterizzano il vino per una maggiore o minore tonalità di affumicatura.

Il passaggio della barrique

Inoltre di fondamentale importanza è il cosiddetto “passaggio” della barrique. Si può infatti utilizzare una botte di primo passaggio, ovvero nuova, che consentirà al vino una piena estrazione dei tannini del legno, oppure una di secondo o terzo passaggio, ovvero già usata per uno o due vendemmie, che naturalmente condizioneranno meno il vino sotto il profilo gustativo. La qualità del legno è di grande importanza, fattore senz’altro collegato alla zona di estrazione. Di grande qualità è il Rovere di Allier (quercus sessilis), in Francia, molto fine e elegante, il Rovere di Limousin (quercus peduncolata), sempre francese e adatto al Cognac, il Rovere di Nevers (quercus peduncolata e sessilis), francese e utilizzato soprattutto per i vini di Bordeaux, e fra i francesi, ancora il Rovere di Tronçais di Vosges. Il Rovere Americano (quercus alba) è caratterizzato dalla forte cessione di sostanze al vino, mentre il Rovere di Gascogne, è più adatto all’Armagnac. Infine il Rovere di Slavonia (quercus peduncolata e sessilis), tipico delle foreste bosniache, serbe ed ungheresi, sempre più utilizzato dai produttori europei in sostituzione delle costose botti francesi.

Per quanto riguarda il nostro paese, si può senz’altro affermare che l’uso della barrique non appartiene alla tradizione enologica nostrana, e che il suo uso si è affermato solo nell’ultimo decennio, sulla scorta di una preferenza statunitense, vedi soprattutto la linea editoriale di Wine Spectator e del suo guru Parker, e dei mercati in genere. Si è quindi aperto un fronte fra tradizionalisti, che rifuggono dall’uso della barrique, sostenendo che i nostri vini non possono adattarsi ad una metodologia francese perché inadatti e temendo al contempo la perdita di un patrimonio produttivo tradizionale, e innovatori, che hanno sposato la barrique, venendo incontro al mercato nella convinzione che anche i vini italiani possano competere su questo terreno. Esemplare per questo dibattito è stato, ed è tutt’ora, la diatriba, nell’ambiente del Barolo, la contrapposizione tra i Barolo Boys, ovvero i sostenitori dell’uso della barrique anche per un vino austero come il Barolo, e i tradizionalisti, che continuano a produrre il Barolo in modo tradizionale, con lunghi affinamenti in botti grandi. La diatriba non è ancora finita.